Ecco una storia d’arte un po’ speciale. È il racconto di alcune opere che puoi vedere in uno dei musei in Lombardia con i bambini: raffigurano i certosini della Certosa di Pavia.
Il museo fa parte del network Passpartout!
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Questa è la storia di un monaco barbuto, un uomo cioè che a un certo punto della sua vita ha deciso di lasciare tutto e dedicarsi alla preghiera. Il fatto che abbia la barba lunga non è irrilevante e presto scoprirai perché.

Il nostro monaco è affacciato alla finestra e non è solo. Non lontano, un altro monaco come lui è impegnato nella stessa attività: osservare dalla finestra quel che accade là fuori.




La Certosa di Pavia
Ci troviamo a Pavia, in un luogo suggestivo e molto antico che si chiama Certosa. Anche in altre città ci sono posti come questo che si chiamano certose. Sono monasteri, cioè case dove vivono persone che si dedicano totalmente a Dio e alla preghiera. Lo fanno seguendo alcune norme, comunemente chiamate regola, stabilite tanto tempo fa da un uomo di nome Bruno, che insieme ad alcuni compagni si era rifugiato ai piedi di una grande montagna in Francia. La montagna si chiamava Grande Chartreuse, grande certosa. Ecco perché tutti questi monasteri ancora oggi si chiamano così.




Il modo di vivere di questi monaci è lo stesso in tutte le certose: sveglia alla stessa ora, cioè a mezzanotte, preghiera comunitaria di due ore, nuova preghiera in solitudine, riposo, nuova sveglia, nuova preghiera comunitaria e così via fino a sera. Orari ben definiti e rigidi, più che a scuola!
La regola del silenzio
I nostri certosini qui a Pavia sono affacciati alle finestre della loro chiesa da più di quattrocento anni, quando lì li dipinse un pittore di nome Iacopino de Mottis. Nelle navate laterali dell’edificio si aprono otto bifore, ovvero finestre divise in due parti. Queste bifore di pietra sono finte, non si aprono davvero, ma da due di queste si affacciano, dipinti, i nostri monaci curiosi.
Sono entrambi molto seri e silenziosi, come in effetti erano obbligati a essere dentro il monastero. Cioè, erano obbligati a essere silenziosi e non parlare mai tra loro, con pochissime eccezioni, ma non erano obbligati a essere molto seri. L’idea era vivere in solitudine pur abitando nella stessa casa, per sostenersi a vicenda, e il silenzio favoriva senz’altro la solitudine.
Certo, una vita dedicata al silenzio, alla preghiera e alla solitudine… mi sembrano un po’ matti questi certosini!
Bellezze non solo naturali
Se però dai una sbirciatina alla loro casa, la certosa di Pavia, scoprirai che vivevano in posti straordinari, immersi in paesaggi ameni e circondati da bellezza, non solo naturale, ma anche artistica. La loro chiesa, per esempio, è riccamente decorata e visitarla oggi significa fare un viaggio nella meraviglia.
Se dentro la chiesa ti dirigi verso la parte destra che si chiama transetto e sposti lo sguardo verso il basso, scoprirai ritratti entro tondi altri tre monaci del tutto simili ai due barbuti.
Uno di loro ha il cappuccio sulla testa ed è intento a leggere un libro: lo tiene aperto sulla mano destra e con la sinistra lo sfoglia; è sorridente e sembra molto soddisfatto della lettura.




Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici per le province di Milano Bergamo Como Lecco Lodi Monza Pavia Sondrio Varese – CC-BY 4.0
Un altro monaco con il cappuccio in testa ha le mani giunte ed è molto assorto nella preghiera.




Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici per le province di Milano Bergamo Como Lecco Lodi Monza Pavia Sondrio Varese – CC-BY 4.0
Il terzo monaco ha il capo scoperto: sembra un po’ pelato e guarda verso il basso, forse anche lui ha un libro in mano, ma questa parte del dipinto è un po’ rovinata.




Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici per le province di Milano Bergamo Como Lecco Lodi Monza Pavia Sondrio Varese – CC-BY 4.0
L’ordine certosino
Sai cos’hanno in comune tutti questi monaci che abbiamo visto? Sono certosini, appartenenti all’ordine di San Bruno, e si riconoscono perché vestono allo stesso modo, con la cocolla bianca, un ampio mantello dotato di cappuccio indossato sopra la veste, anch’essa bianca. Serviva per essere tutti uguali e per essere comodi nelle varie attività della giornata. Soprattutto dovevano essere comodi i monaci che si dedicavano ai lavori più pesanti, come lavorare la terra, coltivare gli orti, allevare gli animali da cortile, cucinare, tenere pulita tutta la certosa ecc.
Avevano davvero un sacco da fare perché dentro il loro monastero non poteva entrare nessuno, neanche a lavorare per loro, così come loro stessi non potevano praticamente mai uscire da lì.
Accidenti: solitudine, preghiera, silenzio e addirittura clausura, cioè divieto di uscire dal monastero!
Questo tipo di vita si fa sempre più strana e inspiegabile ai nostri occhi, vero?
In effetti oggi giorno sono pochissimi i monasteri che ancora ospitano monaci certosini dediti alla clausura: in tutta Italia ne sono rimasti solo due!
I monaci che abitano oggi nella certosa di Pavia infatti non sono certosini, ma seguono un’altra regola, che permette loro di parlare e uscire dalla loro casa. Anzi, se andrai a visitare la certosa, saranno loro stessi a darti informazioni.
Questione di organizzazione
C’è qualcosa però che non torna. Se ricordi che i monaci certosini si alzavano dal letto a mezzanotte per pregare a lungo, forse ti starai chiedendo come facessero a reggere questi ritmi. Se pregavano così tanto, addirittura in piena notte, come potevano trovare anche il tempo per lavorare la terra e svolgere tutti quei lavori pesanti?
Erano ben organizzati e avevano pensato a una soluzione perfetta. Alcuni di loro, nel momento in cui entravano in monastero, prendevano i voti – si dice; diventavano cioè sacerdoti e si facevano chiamare Padri. La loro giornata era totalmente dedita alla preghiera, alla lettura e a qualche piccolo lavoro manuale che era un semplice passatempo. Il loro unico pensiero doveva essere pregare e non dovevano occuparsi d’altro.
Altri uomini che entravano in Certosa invece non prendevano i voti sacerdotali, ma diventavano monaci proprio per aiutare con il loro lavoro la comunità certosina. Si occupavano dei lavori più pesanti e in sostanza si prendevano cura di tutti. Il loro nome all’interno del monastero era Fratelli Conversi.
Una barba che fa la differenza
Secondo te c’è un modo per distinguere i monaci padri dai fratelli conversi?
Sì ed è semplice: i monaci padri si rasavano barba e capelli – per questo sembrano pelati – mentre i fratelli conversi facevano crescere la barba.
I monaci affacciati alle finestre allora, con le loro lunghe barbe, sono fratelli conversi! E quelli dipinti nei tondi sono invece padri. Uno di loro tra l’altro, forse due, sta leggendo un libro e questa è una cosa che sapevano fare per lo più solo i monaci padri, ben istruiti e provenienti da famiglie benestanti.
Invece i fratelli conversi, soprattutto in passato, erano quasi tutti figli di contadini che non avevano mai imparato a leggere e una volta entrati in Certosa continuavano a fare il loro lavoro, cioè i contadini. Anche se i lavori di cui si occupavano erano vari e molto articolati, per esempio dovevano anche imparare a rasare i capelli dei padri.
La vita dei monaci certosini è un universo affascinante e molto distante dalle esistenze che conduciamo noi. Gli aspetti da scoprire sono davvero tanti e si può farlo soprattutto visitando i luoghi dove vivevano e ammirando con i loro occhi le bellezze di cui si circondavano.
Il mio invito è sperimentare questo universo di persona, a partire da questo assaggio e cominciando proprio dalla Certosa di Pavia. Al ritorno raccontami le tue scoperte e quello che ti ha stupito di più!
Per l’adulto che legge
Immergersi nel mondo dei monaci certosini, ovunque essi vivessero, è davvero suggestivo. Ho provato a metterti un po’ di curiosità partendo dai dipinti di monaci della Certosa di Pavia, ma è solo un pretesto!
Già che ci siamo però ti informo che i due fratelli conversi sono stati realizzati da Iacopino de Mottis alla fine del Quattrocento, mentre i padri nei tondi fanno parte di un ciclo a cui collaborarono diversi artisti, tra cui anche de Mottis.
Le cose da raccontare sulla certosa di Pavia e le opere da osservare sarebbero davvero tantissime, soprattutto all’interno della chiesa. Se vuoi sapere qualcosa di più ti consiglio semplicemente la pagina Wikipedia, molto esaustiva.
Infine ti ricordo che ho già raccontato un’opera d’arte conservata all’interno della Certosa: il monumento funebre di Ludovico Sforza e Beatrice d’Este. Se lo hai perso, puoi recuperarlo qui.




Ciao, sono Sara della Piccola Gerbera, così ho chiamato la mia attività professionale di storica dell’arte, educatrice museale e guida turistica (anche il mio bimbo di 6 anni mi chiama così, come se Piccola Gerbera fosse il mio cognome!).
Mi occupo di didattica dell’arte da prima che mio figlio nascesse. Fare didattica dell’arte per me significa comunicare la storia dell’arte a tutti, in particolar modo ai bambini e alle bambine, alle ragazze e ai ragazzi, e alle loro famiglie. Almeno ci provo, perché la bellezza dell’arte dei secoli passati possa raggiungerli, parlando la lingua di ciascuno e cominciando il prima possibile.
Ecco come lo faccio:
– attraverso il mio blog e i Racconti d’Arte, storie scritte e narrate ad alta voce da me su opere d’arte, in particolare del mio territorio (Pisa e Lucca);
– di persona, collaborando con alcune realtà museali (attualmente il Museo d’arte sacra di Camaiore e il Museo Nazionale della Certosa Monumentale di Calci);
– organizzando personalmente visite guidate progettate per le famiglie.
L’incontro con Italia a piccoli passi mi permette oggi di arricchire la preziosa rete di relazioni tra luoghi, famiglie e attività vicine e affini a me. Di questo sono felice e grata!