Ecco una storia d’arte un po’ speciale: è il racconto di un’opera che puoi vedere con i tuoi bambini in uno dei musei della Lombardia, la Certosa di Pavia.
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Questa è la storia di una principessa e di un principe, distesi sui loro letti tutti vestiti, direi ben vestiti, e improvvisamente addormentati. Sarà andata proprio così? Non è detto che si siano addormentati improvvisamente. E non è neanche detto che stiano veramente dormendo, ma questa è l’impressione che ci danno i loro occhi chiusi e i volti distesi.
I letti sono due, ciascuno con un lenzuolo drappeggiato, accostati per formare un grande letto matrimoniale; come si fa spesso negli alberghi per trasformare una camera doppia in matrimoniale, o viceversa. Chissà, forse i due sposi non dormivano sempre così vicini e talvolta si concedevano un po’ di riposo in solitudine; per questo i letti sono separabili.
Eppure così, insieme, sembrano decisamente abbandonati al riposo e soddisfatti.

Eccoci in Certosa: la Lombardia dei musei
Anche se comincia a sembrarmi un po’ strano il fatto che siano vestiti di tutto punto sopra i loro letti. Tra l’altro gli abiti sembrano pesanti, forse è inverno da loro, eppure non hanno pensato a buttarsi addosso neanche una coperta. Avranno fatto così tardi dopo una giornata di baldoria che una volta a casa sono entrambi crollati senza svestirsi, senza cambiarsi, figurarsi lavarsi i denti! Ti è ma capitato? Ecco, però in quei casi scommetto che il tuo aspetto non era così composto e impeccabile come il loro.
Qui c’è qualcosa che non quadra… proviamo a fare chiarezza cominciando col dire dove ci troviamo. Non siamo in una camera da letto di un palazzo signorile, tantomeno di un albergo, ma all’interno di una chiesa. E non una chiesa qualunque, bensì quella di un monastero, cioè la casa di un gruppo di persone, chiamate monaci, che hanno deciso di vivere insieme per dedicarsi alla preghiera. Questo monastero si chiama Certosa e si trova a Pavia, una delle città della Lombardia che un tempo facevano parte del Ducato dei signori Sforza.
Quel principe sdraiato è proprio uno Sforza, si chiama Ludovico e tutti lo conoscono come il Moro per i suoi colori scuri. Scura la carnagione, scuri i capelli e gli occhi e a un certo punto – pare – anche i suoi abiti. Sì perché un giorno la sua giovane sposa Beatrice morì e lui ne fu così addolorato che decise di vestirsi sempre di nero.
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Decise anche di dedicarle un monumento bellissimo, fatto di marmo bianco (una pietra molto preziosa), perché tutti potessero ammirarlo e ricordarsi di lei. Chiamò a realizzarlo lo scultore più famoso del tempo, Cristoforo Solari, che per noi invece non è proprio tanto famoso (che sfortuna ha avuto col passare del tempo!). Ludovico voleva che il monumento fosse collocato nella chiesa dei frati domenicani di Santa Maria delle Grazie a Milano, a cui stava dedicando molte attenzioni. Tanto che aveva chiesto a Leonardo da Vinci di dipingervi l’Ultima Cena di Gesù, oggi conosciutissima in tutto il mondo. Forse ne hai sentito parlare anche tu, la chiamano “il Cenacolo di Leonardo”.
Quindi il Moro si preoccupò che Cristoforo Solari, detto il Gobbo (quanti soprannomi usavano al tempo!), ricevesse grandi quantità di marmo bianco per mettersi subito al lavoro. Si raccomandò di essere ritratto accanto alla moglie, per poter riposare insieme a lei una volta giunto anche per lui il momento.




Dunque mi sembra di capire che sì, i due sposi stanno riposando, ma così intensamente e profondamente che non si sveglieranno più. É per questo che sono così composti e ben vestiti, per farsi ammirare da tutti, per sempre. In effetti sono passati 500 anni e noi siamo ancora qui a dirci: ma come sono belli questi due sposi, che eleganza, che begli abiti, che bei capelli… Quanti dettagli da osservare se ti capita di visitare la Certosa di Pavia!
Regina d’eleganza: Beatrice e la moda
Cominciamo a osservare Beatrice. É davvero giovane, appena ventenne, e i suoi capelli sfuggono dalla cuffietta sulla nuca per incorniciare il volto con folti riccioli, ricadenti poi più morbidi sulle spalle. L’abito è semplice, decorato da una sorta di rete a losanghe con bordo a frange, come quelle delle nostre sciarpe o degli scialli della nonna (ce li hanno ancora gli scialli le nonne?). Quando guarderai le frange, in foto oppure dal vivo, ricordati che non sono di seta, di cotone o di lana, ma di marmo!
Questo Gobbo non era niente male come scultore. E infatti si dice che quando Michelangelo realizzò la sua prima celebre statua, la Pietà di San Pietro in Vaticano, si preoccupò di firmarla con il suo nome “MICHELANGELO”. Perché tutti erano convinti che l’avesse fatta Cristoforo Solari (te l’ho detto che era famoso, no?) e voleva esser certo che non si facesse confusione. Invece è finita che oggi tutti sappiamo chi è Michelangelo (tu lo sai?) ma il Gobbo proprio l’abbiamo dimenticato, povero Gobbo.




Torniamo a Beatrice. Le maniche dell’abito sono strette lungo il braccio, ma al gomito lasciano fuoriuscire generosamente la stoffa della camicia sottostante attraverso finestrelle chiuse da nastri, che vediamo distesi sul materasso. Sono lunghissimi, ancor più lunghi di quelli del dipinto, conosciuto come Pala Sforzesca, che raffigura la duchessa con un abito simile ma a colori. Sai che le maniche degli abiti in questo periodo erano staccate dal resto della veste? Erano piuttosto difficili da cucire e allora si fissavano sulle spalle e lungo tutto il braccio con fiocchetti e nastri che diventavano un vero e proprio vezzo.
Altre due cose meritano poi la nostra attenzione: il panno che copre le mani di Beatrice e le mirabolanti scarpe. Il presunto panno in realtà se lo guardiamo bene ha – o meglio aveva – due zampette e una coda e un corpicino piuttosto lungo. Sarà un ermellino? Una pelliccia perfetta per scaldare le mani in inverno.
Mentre le scarpe possiamo solo ammirarle nella loro stupefacente attualità. Sono pianelle, cioè una specie di ciabatte di pelle o stoffa con zeppa piana, senza dislivelli. Proprio come quella conservata nel Museo di Vigevano che pare appartenesse proprio alla nostra duchessa. Quanto a moda, Beatrice era davvero esperta e sempre pronta a lanciare nuove tendenze, come la sorella Isabella, duchessa di Mantova.
Il sobrio Ludovico: come andò a finire?
E Ludovico? Sembra decisamente più sobrio, anche se non lo è il cuscino su cui poggia il capo, molto più decorato rispetto a quello della moglie. Sfoggia tra l’altro un delizioso caschetto con le punte dei capelli ben arrotondate verso il collo – che lavoro di fino deve aver fatto il barbiere! L’abito e il mantello sono ampi e drappeggiati sopra il corpo, come pure le maniche molto larghe, che lasciano intravedere i piccoli bottoncini tondi della camicia e i guanti che rivestono le mani. La sinistra stringe il cappello con tesa appuntita.
Secondo me il duca non poté essere che soddisfatto di questo raffinatissimo doppio ritratto su marmo, tanta è la bellezza e l’eleganza dell’insieme. Eppure forse hai notato una cosa poco chiara. Se è vero che il monumento fu realizzato dal Gobbo per la chiesa di Milano, cosa ci fa oggi a Pavia nella Certosa?
Ebbene, dopo la morte di Beatrice nel 1497, Ludovico, distrutto dal dolore, rimase al potere come duca di Milano per soli altri due anni. Poi fu costretto a scappare fino a essere catturato dai Francesi e portato prigioniero in Francia. Lì rimase fino alla fine della sua vita nel 1508.
Il suo proposito di riposare per sempre accanto all’amata sposa non poté dunque essere soddisfatto. La sua tomba si trova in Francia e quella di Beatrice invece dentro Santa Maria delle Grazie, ma senza di lui e senza il monumento. Pare infatti che non sia mai stato concluso da Cristoforo Solari, proprio per la fuga del duca. E a un certo punto, dopo neanche 100 anni dalla morte della duchessa, le due statue vennero acquistate e trasferite alla Certosa di Pavia.
Ecco perché ancora oggi queste sculture sono dette cenotafio di Ludovico e Beatrice, cioè tombe vuote.
Però alla fine a me sembra bello così: che i due sposi siano ammirati e ricordati nel loro sereno riposo sui loro comodi letti, come improvvisamente addormentati. In un luogo stracolmo di bellezza e meraviglia.
Per l’adulto che legge
Il cenotafio di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este è una delle opere più sorprendenti del rinascimento lombardo; il povero Cristoforo Solari davvero meriterebbe più fama.
In base ai documenti e alle ricostruzioni storiche, sembra dunque che sia stato realizzato nello studio dello scultore dal 1497, quando Beatrice morì di parto a soli vent’anni, al 1499, quando Ludovico Sforza fuggì da Milano. Alcuni studiosi ritengono che altre statue facessero originariamente parte del monumento, ma gli studi sono ancora in corso; se vuoi saperne qualcosa di più puoi dare un’occhiata alla biografia di Solari sull’enciclopedia Treccani.
Gli intrecci e le vicende del ducato di Milano al tempo di Ludovico il Moro sono avvincenti; su internet puoi trovare tante risorse, ma molto sintetica e chiara è la parte a lui dedicata sul sito del Cenacolo vinciano.
Vorrei aggiungere infine che, per quanto le cronache del tempo parlino di un duca realmente innamorato di Beatrice e mai più ripresosi dal lutto per la sua perdita, è altrettanto noto che presso la corte degli Sforza viveva una dama di compagnia della duchessa molto ben vista da Ludovico. Ben vista è un eufemismo per dire che era chiaramente la sua amante.
Concentriamoci su Beatrice allora, sulla bellezza, il buon gusto e la saggezza che raccontano le testimonianze del suo tempo. E se ti piace l’immagine della giovane duchessa, scaltra e bella, ti consiglio di seguire le vicende della sorella Isabella a Mantova; le raccontano sapientemente Lorenzo Ghetti e Rita Petruccioli nel webcomic del profilo Instagram Isa vince tutto. Per me anche Bea vince tutto!
Infine una risorsa per chi ama la moda; sul sito della Pinacoteca di Brera trovi la descrizione delle tendenze in voga alla corte degli Sforza (spesso lanciate da Beatrice).




Ciao, sono Sara della Piccola Gerbera, così ho chiamato la mia attività professionale di storica dell’arte, educatrice museale e guida turistica (anche il mio bimbo di 6 anni mi chiama così, come se Piccola Gerbera fosse il mio cognome!).
Mi occupo di didattica dell’arte da prima che mio figlio nascesse. Fare didattica dell’arte per me significa comunicare la storia dell’arte a tutti, in particolar modo ai bambini e alle bambine, alle ragazze e ai ragazzi, e alle loro famiglie. Almeno ci provo, perché la bellezza dell’arte dei secoli passati possa raggiungerli, parlando la lingua di ciascuno e cominciando il prima possibile.
Ecco come lo faccio:
– attraverso il mio blog e i Racconti d’Arte, storie scritte e narrate ad alta voce da me su opere d’arte, in particolare del mio territorio (Pisa e Lucca);
– di persona, collaborando con alcune realtà museali (attualmente il Museo d’arte sacra di Camaiore e il Museo Nazionale della Certosa Monumentale di Calci);
– organizzando personalmente visite guidate progettate per le famiglie.
L’incontro con Italia a piccoli passi mi permette oggi di arricchire la preziosa rete di relazioni tra luoghi, famiglie e attività vicine e affini a me. Di questo sono felice e grata!